lunedì 5 gennaio 2015

Italia. Terra di...

Aaaand... Action!

"Salve a tutti. Sono il vostro umile annoiatore, pronto per un nuovo anno in vostra compagnia". Dopo capodanno, non ho molte pretese per questo 2015. Magari riuscire a capire da che parte gira il mondo o qualcosa di simile... insomma, progetti poco impegnativi: "Per questa prima, e spero non ultima, registrazione dell'anno vorrei parlarvi di qualcosa che mi fa riflettere molto spesso. Si tratta del Paese Italia"

Ah, del buon patriottismo. Ispirato dalle ultime vicende, presumo?

"Personalmente mi piace il paese in cui vivo. Mi piace la sua cucina, la sua storia, la sua produzione artistica". Sorrido appena al ricordo di come ho sudato per imparare la storia dell'antica Roma. Ancora oggi ho degli incubi a riguardo: "Ma, sopra ogni cosa, adoro vedere come gli stereotipi sugli italiani siano effettivamente uno scorcio di verità assoluta. La gestualità che abbiamo, ad esempio, ci viene criticata, sbeffeggiata ed invidiata dalla maggior parte dei paesi anglosassoni". Allargo le mani per poter far vedere al mio immaginario interlocutore a cosa mi sto riferendo: "I carciofi, ad esempio. Tutti conoscete la posizione delle mani a cui mi sto riferendo. Magari non con questo nome, ma potete immaginarvela". Nel mentre dico ciò, faccio toccare i polpastrelli di tutte le dita di una mano, nel classico gesto stereotipato delle persone del Sud Italia: "Con una semplice posizione si può esprimere una varietà di concetti, tutto a seconda del contesto e dei movimenti del corpo. Può significare un 'Cosa vuoi?', oppure 'Ma cosa stai dicendo?'. Basta un movimento più o meno accentuato per passare da un significato all'altro". Bene, ora hai anche preso in giro un terzo circa del popolo italiano. Spero sarai fiero di te.



Beh, non credo che...


Nah, sto scherzando. E fattela una risata, ogni tanto, invece che preoccuparti sempre!

Mano aperta rivolta in alto, braccio quasi tutto teso... Anche quello è un gesto di scherno, lo sai vero?

Ma io posso.

...

"Ma noi italiani non siamo solo gesti e accenti che, misteriosamente, sono solo del Sud nell'immaginario globale".

Attento...

"Siamo anche un grande popolo, decantato in ogni campo per la nostra capacità di creare cose nuove che piaceranno a tutto il mondo. Cultura, arte, musica, pittura, scultura, cucina, meccanica... Siamo fantastici". E il bello è che io ci credo fermamente. Povero illuso.

Già.



"Ma abbiamo un difetto. Un enorme difetto. Siamo la rappresentazione del concetto di ossimoro". Una delle poche figure retoriche che mi è rimasta dalle lezioni di poesia e letteratura delle superiori, quella di cui più mi piaceva osservarne l'utilizzo da parte dei vari autori: "Siamo il popolo delle statue di Canova e dei graffiti sui palazzi storici. Siamo coloro che hanno inventato un modo univoco in cui scrivere la musica e coloro che la musica classica non la sanno apprezzare. Mea culpa, nemmeno io riesco ad ascoltare un brano classico" dico con un sorriso: "Ma almeno so che esiste e che è stata importante. Certe persone, specie quelle che al momento frequentano le scuole superiori, non sanno nemmeno della sua esistenza". Un sorso di the ai frutti rossi, e si continua.


"Siamo anche fantastici nelle scoperte scientifiche. Abbiamo dato alla luce Fermi e la scienza è sempre meno vista di buon occhio dalle nuove generazioni. Abbiamo creato industrie che rivaleggiavano a livello mondiale per ogni cosa. E adesso quelle fabbriche sono sempre meno, con sempre meno persone che ci lavorano". Mi preparo per il pezzo forte, quello su cui sono più convinto: "Ma tutto questo è nulla in confronto alla vera ossessione italiana: la politica. Abbiamo creato il primo corpo di leggi. Abbiamo collaborato con i popoli ellenici per creare la democrazia. Abbiamo avuto ogni tipo di governo sul nostro territotio: principati, egemonie straniere, invasioni, popoli più o meno nomadi, anche un totalitarismo. Le abbiamo passate tutte. Ma ultimamente il pensiero che vige è quello del lasseiz-faire. Solo, declinato all'italiana. Come al solito". E qua scatta la rissa. Ne sono certo.

Chi è causa del suo mal...

Ah, smettila un po', te!

Permaloso oggi.
 

"Ormai siamo in un grande stato di apatia. Di generale indifferenza a ciò che sta succedendo. Abbiamo avuto delle rivolte per avere una democrazia innumerevoli volte nel corso della nostra storia. Eppure, una volta ottenuta, non abbiamo fatto molto per mantenerla solida. Abbiamo avuto personalità importanti, che hanno cambiato il nostro paese. In meglio o in peggio questo non sta a me giudicarlo. Però abbiamo avuto partiti, nella cosiddetta 'Prima Democrazia', che si combattevano sulle idee, non sulle persone. Si fronteggiavano in aula perchè ognuno voleva il bene del Paese attraverso il suo pensiero. Oggi i nostri rappresentanti si fronteggiano per il bene del loro pensiero attraverso il Paese". Non devo mai parlare di queste cose. Mi infervoro troppo, anche se le sto dicendo al nulla.
 

"Ieri i politici scendevano in piazze gremite per dire alla gente per che cosa avrebbero portato nelle aule del Parlamento. Oggi i politici sono in quelle stesse piazze ad urlare contro i loro avversari, senza dire cosa faranno loro. Ieri fazioni avversarie si urlavano e si davano battaglia in aula, ma sempre con la consapevolezza che chi avevano di fronte erano persone con, sì, una mentalità diversa dalla loro, ma comunque meritevoli di rispetto. Oggi, di rispetto, non se ne trova molto tra coloro che abbiamo eletto". Già so che chi mi sentirà mi immagina di questo o quel partito radicale, o addirittura un anarchico insurrezionalista. Mi fa ridere.

"Ebbene, siamo qui. A lamentarci di come la nostra Nazione non vada bene. Di come stia scendendo in basso. A celebrare come eroi ed eroine persone con, semplicemente, un po' di buon senso o comune senso civico".

Vai sul personale in tre... due... uno...

"Eppure, le persone che come me vogliono rendere migliore il paese, non possono. Ho detto che siamo il Paese delle contraddizioni. Un esempio lampante? Abbiamo un sacco di persone che hanno contribuito ad innovare, inventare, creare cose nuove. Che hanno portato lustro al paese che li ha fatti crescere. Un altro paese. Non l'Italia." Sto parlando molto, ma questo è un tema che non smetterà mai di appassionarmi. E che non smetterà mai di farmi rendere rivoltante 'tutta questa bella gente...'.


"È sfiancante vedere come un ragazzo che studia si sente ripetere che 'Qua in Italia non c'è futuro. Vattene da qui'. Ma dico io, siamo tornati indietro di sessant'anni? Se qualcuno ha delle idee, una bella testa, ha studiato, si è impegnato in qualcosa di suo, sul suolo nazionale, è costretto a portare all'estero queste sue conoscenze? Poi è facile lamentarsi che qui va male, che non ci sono più giovani impegnati, che sta andando tutto a rotoli. Provate a riflettere: se tutti quelli che sanno, che sanno fare, che sono bravi, lasciano il paese, chi rimane?". So che sono rosso in faccia dal fervore. Mi hanno detto che dovrei entrare in politica ma mia nonna non vuole: 'Sei troppo buono. Ti mangerebbero'. Mi sa tanto che ha ragione.

"Ma sicuramente sono io troppo ingenuo, che non sa come va il mondo. Che pensa, sicuramente sbagliando, che arrivato ad un certo livello di importanza, politica o industriale che sia, si è costretti a rubare, a mentire, a scendere a compromessi. Altrimenti, si sa, vieni escluso, ostracizzato dagli altri. Penso anche che, al momento, i 'giovani' non abbiano un posto nelle posizioni di rappresentanza politica in quanto ci sono troppi 'anziani' o 'decani' che vogliono godersi ancora un po' la sensazione di avere il dito sul grosso pulsante rosso con su scritto 'BOOM'. Credo che le rivolte e rivoluzioni che le parti più estreme delle ali del parlamento tanto vogliono, per ora, non avverrano, al contrario di quanto è successo nella storia italiana e delle Università italiane. Semplicemente perchè l'alternativa al cambiamento ce la stanno dicendo tutti.
'Vai via dall'Italia'.
Ed è una valida alternativa, miei venticinque spettatori. A presto."











venerdì 19 dicembre 2014

Parole e melodia


"Bentornati. Non so bene cosa ci facciate ancora qua, ma sono felice che siate passati di nuovo". Sto di nuovo parlando al nulla. Ho letto da qualche parte che il parlare da soli è uno dei primi indici di follia... Spero che sia l'ultima opzione, l'uscita di sicurezza, come disse un personaggio dei fumetti, e non una condanna.


"Che cosa volete ascoltare oggi, o miei spettatori? Del mio passato? Del mio futuro? Di chi io sia o vorrei essere?" mi accarezzo la barba, come ultimamente faccio spesso: "Onestamente non so cosa voi vogliate. Sono convinto che prima o poi qualcuno deciderà di commentare, di chiedere, di criticare, in modo da instaurare una comunicazione tra questo schermo e il vostro. Ma per ora farò una cosa che mi riesce molto difficile: essere egoista". Mi schiarisco la voce un paio di volte e riordino le idee prima di proseguire: "Voglio solo parlare di cose che mi piacciono, e non di ciò che piace a voi, almeno per il momento". Bella frase, ma come hai intenzione di continuare, ora? mi chiede una fastidiosissima vocina da dentro. Perchè, e lo hai detto tu stesso, tu conduci un'esistenza piuttosto noiosa. Hai intenzione di annoiare a morte i tuoi spettatori immaginari? 


Grazie, coscienza. Proprio quello di cui avevo bisogno: un'iniezione di fiducia incondizionata.

Prego. 

 
Mentre sbuffo l'occhio mi cade di nuovo sullo schermo. Decisamente impossibile che ciò non accada, dato che è l'unica cosa che posso guardare quando mi metto a disquisire con un interlocutore immaginario, ma questa volta vedo con occhi diversi la sequenza di onde che si genera dal programma di registrazione. Una bellissima onda, complessa, che si forma e si modula ad ogni mio rumore. E gli ingranaggi piuttosto arrugginiti all'interno del mio cervello si mettono improvvisamente in moto: "Oggi vorrei parlarvi della musica. Sì, lo so che facce state facendo, ma non ho intenzione di ammorbarvi con spiegazioni strane sulle musiche di Wagner o di criticare il panorama commerciale contemporaneo. Non è di mia competenza, dato che a malapena so leggere uno spartito. Sapete, essere un batterista non comporta il saper riconoscere immediatamente le note sul pentagramma" sorrido appena al pensiero di tutti gli esercizi che il mio maestro mi passa, tutti rigorosamente scritti sul pentagramma. Note usate per scriverli: una. Abilità, coordinazione ed indipendenza degli arti richieste per eseguirli correttamente: a volte troppo elevate.

"Comunque, dicevo della musica. Vorrei stare qui a dirvi per filo e per segno quale artista o canzone mi ha colpito nel corso della mia esistenza, ma non credo vi possa interessare più di tanto. Per questo ho intenzione di soffermarmi sull'ultimo periodo, in particolare da, circa, tre mesi fa ad ora. È un periodo breve, quindi resistete". Prendo la mia fidata tazza, quella con un riferimento ad un canale di un videogiocatore canadese sconosciuto ai più, e mi rifocillo con un po' di liquido caldo. Ormai è quasi un'abitudine: cuffie, microfono, computer e the. Beh, sempre meglio questo che... che...

Uhm. Le analogie oggi non entrano.

"Nello specifico volevo parlarvi delle canzoni associate ad altre opere, quali videogiochi o serie animate. In particolare una serie creata sul web, dal nome molto... colorato. Una sua canzone è, credo, quella che mi ha fatto più commuovere fino ad ora". Seeeee, come no. Ora vuoi puntare sul sentimentale? ma per favore...


Sempre presente, specialmente se non richiesta.

"Riguarda una ragazza, o meglio, una bambina, che scopre della morte prematura di sua madre. Il testo è incredibilmente commovente in quanto è un dialogo tra le due. La prima strofa parla la ragazza, che è sconvolta dalla notizia. La seconda è incentrata sulla madre, che cerca di dare una spiegazione a quello che è successo, con un tono struggente in quanto si rende conto di aver aver condannato sua figlia ad una vita molto, molto triste". Lacrime, nodo allo stomaco, parole che non mi escono dalla bocca... Sì, direi che anche solo il ricordarmi la canzone mi provoca lo stesso effetto. Chiedo aiuto al Principe del Galles, che per fortuna mi rinfranca quel tanto che basta per continuare.

Le parole che stai cercando sono 'Maledetta carne'...


"...inutile dire che è una canzone a cui possono far riferimento tutti quelli che hanno subito un lutto particolarmente sentito. Beh, volevo solo mettervi a conoscenza di questa canzone. Al momento preferisco addirittura non sentirla: credo che il buon Skinner parlerebbe di condizionamento operante". Ma anche se non la sto sentendo, avverto che il suo effetto mi sta colpendo come una mazza. Meglio finirla qui.

"Credo che... che sia meglio concludere qui oggi. Chiedo scusa se questo mio blaterare ha avuto ancora meno senso dell'ultima volta. Miei venticinque spettatori, vi saluto."

Chiudo qui la registrazione e mi tolgo le cuffie. Appena in tempo. Perchè un piccolo singhiozzo mi sfugge mentre ripeto nella mia mente, e, credo, anche sottovoce, quei due versi che ormai mi porto dietro come un mantra.

"Every nightmare just discloses, it's your blood that's red like roses..."

...forse è meglio che io stia zitta, almeno per un paio di minuti.


"...and no matter what I do..."

Maledetta carne.

"...nothing ever takes the place of you."


Credo che la registrazione possa aspettare un po', prima di andare online.

lunedì 8 dicembre 2014

This is my story

Sono davanti allo schermo, con il mio headset addosso. Avevo programmato tutto in pochi minuti: font, stile, colore. Tappetto nervosamente sul microfono per verificare che funzioni e...

Niente.


Non so cosa dire.


Mi è sempre capitato, in ogni momento: avere un sacco di pensieri ma non sapere esattamente come esprimerli. Eppure mi ero deciso: finalmente avevo preso il coraggio a due mani e avevo creato uno spazio mio, dove dire tutto quello che volevo dire.


Nonostante ciò, non so come iniziare.

La parte più difficile di qualunque opera mi sta impedendo di cominciare quello che poteva benissimo essere uno sfogo singolo, senza prosecuzione. Eppure non ho intenzione di mollare.


Improvvisamente, ho quello che gli psicologi chiamano "Insight", un'illuminazione. Come ho già fatto, posso cominciare prendendo in prestito una frase da altrove. E la frase che ho in mente, ne sono sicuro, sarebbe approvata da almeno un paio dei miei amici.


Un bel respiro, ed inizio a parlare.


"Listen to my story. This... may be our last chance. Non so bene se quello che sto dicendo verrà sentito da qualcuno, ma sono arrivato al punto di doverlo dire, anche se solo al vento.
Mi chiamo..." esito. Voglio che qualcuno mi possa riconoscere? O è meglio usare uno pseudonimo, anche se conosciuto?


"Mi potete chiamare in diversi modi. Il mio primo nickname è stato Tankman. Poi ho usato un'impronunciabile sequenza di lettere palindroma. Ora uso Dystopic, con la ipsilon al posto della prima 'i'". Prendo confidenza man mano che vado avanti col discorso, inizio ad andare a braccio sempre più, lasciando perdere il copione che avevo in mente.


"Sono convinto che chi mi sta ascoltando si stia chiedendo cosa stia succedendo. Già sento le domande classiche: 'Ma cosa vuole questo? Ma chi si crede di essere? Ma perchè sta sprecando aria preziosa?'. Beh, sono tutte domande che mi sono effettivamente posto negli ultimi tempi". Prendo un altro respiro: mi serve molto coraggio per andare avanti da questo punto in poi. Eppure ora non posso più tornare indietro, non me lo perdonerei mai.

"Questo... spazio, questo angolo dell'immenso web che ho deciso di occupare è per me un contenitore. Un baule in cui riporre almeno parte del peso che mi sento sulle spalle. E che, lo sento, mi sta piegando sempre di più". Dò un colpo di tosse per mascherare il fatto che, lo sento, le lacrime stanno già iniziando ad accumularsi. Ma, me lo sono già detto, non posso fermarmi.


"Sono uno studente universitario. Ho terminato, anzi, quasi terminato la laurea triennale in... psicologia. Diciamo psicologia perchè dire il nome completo del corso sarebbe un'inutile precisazione. Ora che ho detto l'ambito di studio sono sicuro che tutti quelli di voi che stavano pensando che fossi un po' toccato ora sono sicuri che io sia toccato. Una buona percentuale di voi invece crede che il mio corso non serva a nulla, che a queste cose non ci crede, eccetra eccetra..." un sorriso mi si forma automaticamente, pensando a quanto io possa essere andato vicino alla realtà "Beh, avete un po' ragione. Quelli che mi hanno etichettato come fuori di testa, intendo. Per gli altri non intendo sprecare parole". E con questo sono sicuro di essermi giocato i due poveri disgraziati che avevano per caso trovato questa registrazione, magari cercando in maniera sbagliata qualche informazione sul tema tanto caro ad Orwell e Huxley.


"Comunque sia, se mi state ancora ascoltando, vi dirò in breve cosa sta succedendo. Al momento mi sento come chiuso in un videogioco. Come quando siete arrivati ad un pezzo molto avanzato del gioco e vi ritrovate ad un punto che non riuscite a superare, nonostante voi ci proviate più e più volte. Spesso, quando mi sono imbattuto in queste situazioni, mi bastava lasciare perdere per un'ora o due, magari un giorno, e riprovarci, con una mente più riposata. Era semplice, intuitivo". Mi fermo per bere un sorso di the. Il calore mi rinfranca, come se l'energia di cui io abbia bisogno in questo momento sia quella termica.

"Beh, la vita vera non è così. Mi sento come costretto a ripetere sempre gli stessi errori, senza possibilità di scampo. Sono così vicino alla fine del livello che posso sentire la musica di vittoria in lontananza... Ma, se mi permettete di rubare un'altra frase all'inglese, sono 'so close yet so far away' dall'obbiettivo. Un paio di esami, la tesi ed avrei finito la laurea. Poi potrei smettere qui i miei studi, potrei finalmente visitare il Giappone, potrei trovarmi un secondo lavoro part-time per potermi comprare tutte le cose inutili che ho sempre guardato su Internet..." di nuovo le lacrime fanno il capolino, nonstante io stia parlando con il sorriso in volto: "Eppure... Eppure eccomi qui. Ad affidare a dei bit, a degli sconosciuti o meno, le mie riflessioni". Lo schermo mi risponde in silenzio, senza commentare quello che sto facendo, senza darmi illusioni, senza giudicarmi. Posso quasi vedere il mio riflesso, ma preferirei non farlo: è molto che non riesco a guardarmi negli occhi. "Oggi ho deciso di esternare quello che mi dà più fastidio. Oggi ho deciso di dire basta al tenere tutto dentro. Oggi ho deciso di raccontare la mia storia."

Mi fermo, forse per qualche secondo di troppo. Sto pensando a come concludere questa accozzaglia di parole con poco senso. Una frase ad effetto, come quelle che usavo mettere alla fine dei temi che scrivevo a scuola.

Di nuovo, la giusta citazione mi viene in soccorso.

"Miei venticinque spettatori. Nel caso sarete di nuovo qui, vi darò di nuovo il benvenuto. Questo è l'inizio della mia storia."

Premo un tasto sulla tastiera e tutto comincia.